“Fino a tanto che voi foste alla testa di una nazione, si potevano da voi aspettare qualunque miracolo, qualunque avventura e la più gigantesca lusinga, ma oggidì più nulla voi potete in Europa. Fuggite subito e riparate negli Stati Uniti. Mi è noto l’animo dei capi e le disposizioni del popolo: voi troverete colà una patria ed una abbondante sorgente di vita”
(dalla Lettera di un Americano residente a Parigi a Napoleone, 1815)
Ucronia per gioco: che cosa sarebbe successo se Napoleone fosse fuggito dall’Elba per rifugiarsi negli Stati Uniti?
Napoleone raggiunge gli Stati Uniti dove, con sua somma delusione, si ritrova circondato soltanto da gruppi di bonapartisti alquanto velleitari e non troppo bene informati che agiscono in semiclandestinità, concionano di Ideali Rivoluzionari e, in un patetico tentativo di segretezza, si affannano a chiamare il loro ospite “Mr.Goodside”.
Naturalmente il Congresso sa, e il Presidente sa ancora meglio ma tutti scelgono di ignorare con ogni cura. Da un lato, si bada ad impedire che i bonapartisti possano far molto più che cospirare a fumosissime parole, dall’altro, alle sempre più pressanti e sempre più velatamente minacciose note diplomatiche dell’Inghilterra, si può rispondere di non saper nulla di nulla.
A Vienna, intanto, le Potenze sono in piena fibrillazione per questo sviluppo inatteso. A dire il vero, nessuno si preoccupa troppo di quello che possono fare i piccoli Stati Uniti, così lontani e militarmente così innocui. Il rovello è, semmai, che il terribile Còrso possa mantenere contatti con i suoi in Europa e organizzarsi un ritorno in grande stile. Metternich, con la Santa Alleanza a rimorchio, propone, a titolo tanto punitivo quanto preventivo, un blocco totale dei traffici con gli Stati Uniti, misura che Castlereagh riesce a mitigare in una serie di restrizioni e in uninasprimento dei controlli doganali e delle censure. Il Congresso si conclude con l’impegno di tutti a tenere un occhio molto vigile sulla Francia.
Nel 1816, Monroe viene eletto Presidente degli Stati Uniti e, per prima cosa, promette “l’America agli Americani”. Per togliere all’Europa un possibile pretesto per ingerirsi, e dando al tempo stesso un saggio d’indipendenza coll’evitar di cedere alle pressioni inglesi, si affretta ad espellere Mr.Goodside anziché consegnarlo a Londra.
Napoleone è ben lungi dal dispiacersene, perché si è ormai convinto che i troppo cauti Stati Uniti non fanno al caso suo. Molto più promettente gli sembra il Messico, dove i Creoli indipendentisti lo accolgono con un certo entusiasmo in ricordo della Guerra Peninsulare.
Mentre Napoleone saggia il terreno e allaccia contatti, la notizia della sua migrazione a sud raggiunge l’Europa, dove tutti hanno l’impressione che la faccenda cominci a sfuggire un po’ di mano. A conti fatti, la minaccia appare assai più incontrollabile, adesso che proviene dal turbolento Messico.
Se solo gli Europei lo sapessero, Iturbide non si fida granché di Napoleone e, più di ogni altra cosa, non ha nessuna intenzione di dividere con lui oneri ed onori del comando. Servirsi del suo nome gli sembra un modo come un altro di far paura alla Spagna, ma si guarda bene dal farlo partecipare attivamente alla lotta indipendentista.
Vista da oltreoceano, la situazione non è affatto chiara e al Congresso di Dresda, nel 1817, Austria & Alleati decidono che è preciso dovere di ogni Potenza assistere la Spagna nel fronteggiare i fermenti del suo morente impero coloniale.
L’Inghilterra sarebbe contraria ma, non giudicando igienico di lasciare che altri colgano l’occasione per allungare le unghie sull’America Latina, partecipa pur senza eccessivo entusiasmo ai soccorsi.
Ora Iturbide comincia a pensare che non sia stata una buona idea cercare di servirsi di Napoleone. Le tensioni sociali tra élite creola e popolo e quelle politiche fino ad ora latenti fra Blancos (i sostenitori di Iturbide, appunto) e Azules (i bonapartisti) fanno il gioco della Spagna che, sostenuta e foraggiata in ogni modo dalle Potenze, nel giro di poco più di un anno recupera un saldo controllo sulla situazione messicana e decapita l’élite creola. Iturbide cerca di trarsi d’impaccio offrendo di consegnare Napoleone, offerta che sarebbe accettata al volo se nel frattempo l’ex imperatore non si fosse volatilizzato.
Già che ci sono, gli Europei (all’esercito spagnolo si affiancano contingenti regolari prussiani e austriaci e l’appositamente costituita Legione Coloniale russa, inqualificabile accozzaglia di mercenari e avventurieri di ogni possibile provenienza, nonché navi della Royal Navy) proseguono l’opera raffreddando i bollenti spiriti dell’Argentina.
Mentre Napoleone ripara nella neonata Federazione della Grande Colombia, cautamente accolto da Bolivar, il Congresso di Treviri (1819) comincia a progettare una spartizione dell’America del Sud tra le Potenze. I lavori si prolungano a causa dell’inconciliabilità di posizioni: mentre Metternich, appoggiato dalla Prussia, desidera organizzare un’edizione latinoamericana dell’equilibrio raggiunto a Vienna,
e l’Inghilterra accarezza l’ipotesi di recuperare un certo controllo sugli Stati Uniti, la Russia pretende compensazioni territoriali nel Vecchio Mondo (magari un accesso ai mari caldi…) in cambio della rinuncia ad ogni pretesa su quello nuovo. Tayllerand semina zizzania come può.
Napoleone e Bolivar si chiedono se questo disaccordo tra le Potenze non offra l’occasione per agire, tanto più che in Europa la situazione non è delle migliori.
Gli ingentissimi costi della guerra americana, infatti, possono essere sostenuti soltanto con l’imposizione di nuove e pesanti tasse e questo, unito alla leva di massa del 1820, da luogo ad insurrezioni nelle campagne polacche, in Ucraina, in Galizia e nel Napoletano. Il timore di una matrice bonapartista e di un’azione concertata con la Grande Colombia spingono le Potenze, la Russia in particolar modo, ad una reazione estremamente brutale. A Treviri ci si ritrova davanti ad un dilemma: come mantenere il controllo della situazione europea senza sottrarre truppe all’America Latina?
Napoleone, percependo il momento favorevole, spinge Bolivar ad attaccare gli Europei nel dicembre del 1820.
L’incoronazione di Napoleone prende tutti alla sprovvista. La prima a reagire è la Francia che, con ammirevola faccia tosta, tenta di allacciare buone (e soprattutto proficue) relazioni con quello che è pur sempre il regno di un Francese.
Naturalmente, l’Inghilterra non è affatto d’accordo, e muove prontamente ai ripari con una prontezza che è solo vagamente intralciata dall’antipatica necessità di scegliere fra le due facce del Nemico di sempre: la Francia borbonica o il Còrso in persona…
La Santa Alleanza non sta a guardare e, nella sede dell’appositamente convocato Congresso di Magonza (1823), si affretta a far quadrato attorno alla Spagna. Corpi di spedizione congiunti austro-prussiani vengono spediti in America Latina dove, forte di tanto aiuto, la Spagna recupera il controllo di Argentina, Cile e Perù, se non altro. Il resto dell’America Latina, gli Stai Uniti e la Francia, (di cui nessuno si è fidato abbastanza per farla partecipare alle danze) osservano con scarsissimo entusiasmo; ma la vera sorpresa è la Russia, che cerca nientemeno che l’alleanza con il Messico. E Napoleone, ben sapendo che lo Zar non ha nessun interesse nel Nuovo Mondo e, lasciato libero di brigare in Europa per la sua vecchia ossessione, un accesso ai mari caldi, potrebbe costituire un incalcolabile diversivo per tenere occupate le Potenze, accetta con entusiasmo. Nel 1825, quando la Spagna si è ormai saldamente attestata anche in Perù, la situazione mondiale è tale che nessuno avrebbe potuto prevederla dieci anni prima: ad una Santa Alleanza in cui primeggiano Austria, Prussia e Spagna, si contrappongono l’Intesa Transatlantica, che unisce Messico, Inghilterra e Russia; a far da terzo incomodo c’è, chi l’avrebbe mai detto, il Patto Franco-statunitense che, a Washington, la stampa democratica chiama “il patto insano” o “il patto col diavolo”.
Però, Napoleone è ben lungi dal sedere tranquillo sul suo nuovo trono: se non bastassero i moti di contadini, indios e meticci, sobillati dal basso clero di origine spagnola, repressi uno dopo l’altro nel sangue, ci si mettono anche i Blancos, proprietari creoli, simpatizzanti del generale Iturbide che Napoleone ha gentilmente esttromesso nel corso della sua marcia al trono. E che gli alleati dell’Intesa transatlantica siano un tantino inaffidabili è dimostrato dal fatto che i Blancos sono foraggiati dagli Inglesi. Niente di strano che l’Imperatore soffra di ulcera e che il suo carattere si faccia sempre più cupo e diffidente.
Per rafforzare la sua posizione nell’America Latina, Napoleone intesse legami con gli Stati dell’ex Grande Colombia, tasta il terreno con gli Stati Uniti e, nel 1828, (con tanti ringraziamenti all’Imperatore d’Austria che ha ottenuto dal Papa l’annullamento del matrimonio con Maria Luisa), sposa Dona Leonor de Braganza, cugina del nuovo Imperatore del Brasile, Pedro.
Nel 1831, il Congresso Panamericano di Tegucicalpa ostenta le intenzioni più pacifiche ma le spie europee non tardano a scoprire la vera natura dei colloqui che vi si tengono, cosicché lo scoppio della I Guerra d’America, nel 1832, non coglie impreparate le Potenze. Niente effetto sorpresa, e niente più discese fulminanti sul nemico ignaro: Napoleone non ha più la Grande Armata, ma una congerie di eserciti diversi, alleati malfidi e capi di Stato Maggiore ossessionati dalle salmerie e dai rifornimenti e, con gli anni, lui stesso si è fatto meno audace e meno incline a fidare nella sua buona stella. La pace di Santa Fé, alla fine del 1834, congela un situazione molto simile a quella dell’inizio della guerra.
In Europa, i costi proibitivi della guerra, ripercuotendosi sulle popolazione nella forma consueta di tasse e coscrizioni di massa, provocano una serie di moti in Polonia, nel Napoletano e nelle province basche, che si estendono rapidamente per tutto il Continente. Anche i territori europei dell’Impero Ottomano prendono fuoco, e la Russia, con il pretesto della repressione, avanza dalla Bessarabia in Bulgaria e Grecia.
In America, intanto, Napoleone comincia a farsi vecchio e malato. Non ha più l’energia di un tempo e, tuttavia, intraprende un nuovo passo. Contando su una benevola neutralità da parte tanto statunitense (numerosissimi trattati economici) quanto brasiliana (legami dinastici), e sul fatto che la Spagna, al momento, ha altro a cui pensare, invece di ritirare le truppe messicane che dovevano garantire la sicurezza di Colombia, Ecuador e Venezuela, dichiara l’annessione dei tre Stati. La guerra che ne segue si trascina molto stancamente, anche perché la solita Inghilterra appoggia tanto i Blancos messicani quanto i Colombiani. A Londra e a Parigi, sui giornali satirici, cominciano ad apparire caricature di Napoleone che, accanto ad una pila di piatti vuoti, mosta principi d’indigestione davanti ad una bistecca in forma di Grande Colombia.
Il figlio di sette anni, Don Napoleòn Pedro, viene incoronato Imperatore. Subito scoppia una guerra civile che contrappone ai Blancos, appoggiati dall’Inghilterra e dalla Colombia, gli Azules bonapartisti sostenuti dalla Francia e dal Brasile, mentre la Spagna da sud e gli Stati Uniti da nord cercano di approfittare della situazione.
Nel 1839 la cosa degenera in una II Guerra d’America, proprio mentre l’Europa viene scossa da una guerra Russo-Turca per il possesso di Bulgaria, Macedonia, Grecia e magari, già che ci siamo, anche degli Stretti. L’Austria e La Prussia si schierano con la Porta, mentre Francia e Inghilterra, in tutt’altre faccende affaccendate, stanno a vedere.
La fine di Napoleone ha lasciato il mondo nel peggiore caos da molti secoli a questa parte e ci vorranno non meno di sette anni, prima che una serie di paci e trattati mettano fine alle ostilità di qua e di là dell’Atlantico.
Nel gennaio del 1846 Brasile, Stati Uniti, Inghilterra e Nuova Colombia Creola si riuniscono nel Congresso Panamericano di Vera Cruz, i cui lavori continuano ancora quando, a ottobre dello stesso anno, si riuniscono a Brixen Austria, Prussia e una nuova e temibile Russia i cui dominii si estendono ormai dal Mediterraneo al Mar del Giappone.
[…] What If… In occasione del 5 Maggio, ucronia napoleonica (con una spruzzata di u-poesia manzoniana) qui. […]