Alla Marghe, con tanta simpatia e in ricordo degli anni del Liceo
Firma con svolazzo: “Irene Gualtieri”. Sarà la decimillesima, oggi!
– Ecco qua. -La Marghe prende il libro e lo riapre subito alla pagina della dedica.
– Grazie, Gualty. Dio, che effetto!
– Sapessi a me! -Irene ride, e ride anche Margherita.
– Va be’, ciao e grazie ancora. E complimenti, sai… –
E prima ancora che Irene abbia potuto rispondere, Margherita è già sparita nel vocìo, e c’è una signora sorridente, che porge una copia e chiede se può scrivere “a Elisa”, per favore. Irene sorride, scrive e firma. E sotto un altro.
Non ha idea di quanto durerà la processione, è la prima volta che presenta un libro.
“Non spaventarti, non gasarti, sorridi sempre e firma”, le ha detto Marcella, che da quindici anni, per conto della sua, anzi della loro Casa Editrice, assiste scrittori novellini in frangenti del genere. E Irene sorride e firma, seduta a un tavolino su cui un commesso della libreria bada a sistemare nuove pile di copie del romanzo, mano a mano che quelle vecchie si esauriscono. E si esauriscono in fretta, perché il libro è spesso, più di quattrocento pagine, e la Libreria del Centro affollata.
“Non spaventarti, non gasarti”. Lo spavento comincia a passare, adesso. Dopo il terrore puro dell’intervista volante con un tizio della stampa locale che insisteva per sapere “quanto c’è del tuo vissuto in questo libro”, firmare le copie è davvero una passeggiata. Quanto al non gasarsi, però, è tutt’altro paio di maniche. (Quite a horse of another colour. A Irene piace pensare in Inglese, alle volte.) Anzi, è proprio mano a mano che la paura si dissolve, che la testa si fa più leggera. “Sto autografando copie del mio primo romanzo-sto autografando copie del mio primo romanzo-sto autografando copie…” Queste sono le scene che Irene si dilettava d’immaginare quando spediva dattiloscritti a destra e a manca e, ogni giorno, tornava dal vivaio con la speranza di trovare qualche risposta nella cassetta delle lettere. E adesso che è diventato tutto vero, come si fa a non gasarsi un pochino?
– Come ti chiami? -Irene si sporge attraverso il tavolo per sentire la risposta del ragazzino, che avrà si e no dodici anni. Curioso che a quell’età legga romanzi storici.
– No, è per mia mamma. Metta Annamaria, per favore. -Ah, ecco. Già più normale.
– Ma tu, come ti chiami? -Insiste Irene.
– Jacopo. – “Ad Annamaria e Jacopo, con simpatia”. Il ragazzino lancia un’occhiata a un signore alto in attesa fuori dalla fila, evidentemente il padre, che annuisce in segno di approvazione e fa anche un altro cenno, che potrebbe significare “dì grazie”.
– Buonaseragrazie. -Infatti. E Jacopo se ne va. Irene si sgranchirebbe volentieri le gambe e, magari, berrebbe un bicchier d’acqua, ma no, niente da fare, la gente si affolla attorno a lei, ansiosa di avere la sua firma sul frontespizio e quattro parole di dedica. Perché poi non si sa, a pensarci bene. Lei non è neanche famosa. O almeno non lo è ancora. Bisognerà vedere come va questo libro, e speriamo bene, perché a casa ce ne sono già altri due pronti, e una decina di novelle.
E cosa si fa col primo libro di una sconosciuta, firmato dalla sconosciuta stessa? Lo si legge e poi lo si mette nello scaffale dei romanzi a prender polvere. Qualcuna di quelle persone la conosce, per cui ne parlerà dicendo che sì, l’autrice è un’amica della nipote, la figlia dell’oculista che ha operato la cognata, una delle ragazze del Vivaio Arboretum… Gli altri se ne dimenticheranno. Magari, quando Irene sarà diventata famosa, potranno dire di avere una copia autografata del suo primo romanzo. (- Ylenia, con la ìpsilon… Grazie.-) E fra cento o duecento anni, quando il nome di Irene Gualtieri sarà sulle enciclopedie, allora… “Gl’Insorti di Strada Nuova”, prima edizione, fresco e perfettamente conservato, autografo dell’autrice sul frontespizio…
Non spaventarti e non gasarti, Irene.
Il commesso arriva con l’ennesima pila di copie.
– Potevi anche scrivere qualcosa che non pesasse venti chili la decina, però! -si lagna scherzosamente.
– La prossima volta una raccolta di limerick, cinquanta pagine al massimo. -Ride Irene.- Prometto! -Si conoscono di vista da anni. Irene non sa nemmeno come si chiami, però quando cerca qualche libro di viaggi per suo padre si fa sempre consigliare da lui.
– Effettivamente è un po’ massiccio.- Commenta il signore di mezza età in attesa davanti al tavolino.
Irene sorride senza sollevare lo sguardo dalla dedica che sta scrivendo.
– Ah, è un’arma impropria. Un po’ pesantino nella borsetta, ma un antiscippo favoloso, creda. Ecco qua.-
E il signore di mezza età se ne va soddisfatto. (“Una ragazza simpatica”, dirà, se mai gli chiederanno com’è la Gualtieri).
– Allora, Irene! La nostra celebrità! –
– Buona sera, dottore. -Un collega di suo padre.- Come sta? –
Qualche parola, complimenti, una dedica un po’ più elaborata, più personale. Il dottor Grossi la conosce fin da quando Irene era bambina, e seguita a trattarla un po’ come allora.
– Ci hai messo anche mia moglie? Perché sennò mi sgrida, sai?
– Non si preoccupi. Ha già visto i miei?
– Sì, sì. Abbiamo parlato un po’. Tuo padre è a un metro da terra. Gli hai fatto proprio un bel regalo, va’. E senti: ci vieni, a presentare il libro al Circolo?
– Oh sì, sì, volentieri. Grazie. -Irene arrossisce di piacere. Altra piccola scena che aveva immaginato centinaia di volte.
– Brava, ti faccio telefonare da mia moglie, quando torniamo da Toronto. Ciao, e tanti complimenti. -E anche il dottor Grossi si dilegua. Toronto, il congresso di Chirurgia Oftalmica. Ci va anche il padre di Irene, e mamma al seguito. Irene sorride fuggevolmente al pensiero di tutta la confusione che hanno fatto da quindici giorni a questa parte con passaporti, guide del Canada e valigie rigide. Per il dottor Gualtieri ogni partenza è una campagna di Russia (quella di Napoleone perché Irene, ogni volta che può, pensa in termini di Ottocento). Questa volta, poi, è persino peggio del solito. Sarà anche questione del libro di sua figlia. Irene, tra l’altro, lo ha dedicato a lui, che le ha trasmesso la passione per la Storia e il gusto di raccontare. Bisogna ricordarsi di riferirgli la proposta del dottor Grossi. Al Circolo! Vanno sempre, loro due, alle presentazioni dei libri.
– Pensa, pensa, quando anche tu… -le dice scherzosamente tutte le volte. E adesso, eccoci qua.
– Ma lei… -Irene si ferma con la penna a mezz’aria.- Non è la seconda volta?
– Lei sì, che è fisionomista. -risponde il giovanotto con un enorme Gatto Silvestro sulla cravatta.- Ho pensato di prenderne una copia anche per la mia ragazza. Può scrivere “per Simonetta”? –
Per Simonetta, allora. Sarà lei la donatrice della terribile cravatta? Possibile. Irene non è fisionomista per niente: una volta, quando era all’Università, ha fatto l’intero tragitto Pavia-Milano chiacchierando del più e del meno con la sua prof. di Diritto CEE senza riconoscerla. Però una cravatta del genere non si dimentica.
Oddìo, avrà poi fatto bene ad impegnarsi per la presentazione al Circolo? Irene è colta da un dubbio improvviso. Ha tanto idea che avrebbe fatto meglio a consultarsi con Marcella, prima. Be’, ormai è fatta. Glielo dirà.
Approfittando di un attimo di calma, Irene si guarda attorno. Forse la folla comincia a diminuire un po’, ma numerosi gruppi sostano in piedi fra gli scaffali colmi di libri, da cui schiere di dorsi colorati si riflettono nel parquet lucido. Ecco, là in fondo, Cristina, la sorella di Irene.
“Vieni qui!”, sillaba silenziosamente Irene. Cristina sorride e fa ciao con la mano, ma non capisce. E’ talmente felice ed emozionata che non potrebbe esserlo di più se il libro fosse suo. “Vieni qui!!” insiste Irene, accompagnando il telegrafo con un gesto un po’ impaziente. Niente da fare. Cristina sparisce. Ecco là Marcella, invece, circondata da un capannello di gente che sembra del mestiere. Tra loro c’è anche il giornalista di prima. Antipatico!
Ecco un nuovo assalto di gente armata di libro da firmare. Irene si costringe a sorridere, ma intanto continua a pensare all’intervista.
(Ciao, posso darti del tu? Ti ricordi di me, vero? Ero tre classi avanti a te al Liceo, in classe con… e giù un’infilata di nomi mai sentiti. Ma sì, la III E, dài! Ed è servito a poco che Irene gli dicesse che non conosceva nessuno dello Sperimentale. Quello è partito per la tangente chiedendole del suo vissuto personale… Il suo vissuto, per carità!)
– No, no: Carla, non Carlo!
– Scusi, non avevo capito… -Irene corregge. Comincia ad essere stanca, e le sembra che il brusio di folla si faccia sempre più forte. Getta un’occhiata speranzosa in direzione di Marcella, ma lei è presa in conversazione. Oltre il gruppetto, e oltre la vetrina illuminata dai faretti alogeni, con il suo libro bene in evidenza, si vede la piazza con i lampioni già accesi. Sulla porta a vetri è appiccicata col nastro adesivo una locandina della presentazione. “Gl’Insorti di Strada Nuova”, vi si legge al contrario.
(“Strada nuova per alludere al nuovo corso di cose che si auspicava dopo la dominazione austriaca?” le ha chiesto il giornalista “O c’è qualche riferimento politico più attuale?” “Per alludere alla via su cui si affaccia l’Università a Pavia.” ha risposto gelidamente Irene. L’articolo, c’è da scommetterci, dirà che la Gualtieri è chiusa e pochissimo comunicativa.)
La fila si rompe improvvisamente in un crocchio di facce conosciute, tra cui il professore di Greco del Liceo, alcuni amici di famiglia e l’Assessore al Verde Pubblico del Comune, cliente abituale del vivaio. La conversazione si fa animata.
– Una ragazza tutta fiori e sogni! -dice la signora assessore (o assessora, o asseditrice? Who knows…), e per essere sicura che nessuno si perda la battuta, la ripete tre volte.
Irene ha la buona grazia di ridere, e firma le debite copie, impicciandosi tutte le volte nella sovraccoperta. Detesta le sovraccoperte. Tutte. La prima cosa che fa, quando compra un libro, è liberarsene. Nei riguardi di questa, poi, ha dell’astio personale. Intanto, non le piace l’immagine di copertina. Su uno sfondo che va dall’ocra al rosso, stile “tramonto-di-sangue”, hanno piazzato due figure prese da un quadro di Delacroix, due rivoltosi: uno in tuba e giacca armato di fucile e uno scamiciato che brandisce una sciabola evidentemente non sua. E già Delacroix non c’entra nulla con il Quarantotto e meno ancora con Pavia. E poi, di operai non ce n’erano, era una faccenda di studenti. E non erano nemmeno armati! Lei l’ha detto e l’ha ripetuto, ma niente da fare. E a parte il fatto che non c’entra niente, è proprio brutta. Il responsabile editoriale l’ha ascoltata molto pazientemente, le ha lasciato ripetere tre volte di fila tutte le sue buone, ottime ragioni, e poi le ha detto che sì, tutto vero, ma ci sono questioni di veste grafica della collana, di costi, di permessi di riproduzione, per cui la scelta era limitata e, una volta effettuata, irrevocabile.
– Ma non ci si disperi, sa? -ha concluso.- Le prometto che, se c’è una seconda edizione, ne riparliamo. –
Ovvero, campa cavallo! Si è detta Irene lì per lì. Ma non aveva ancora finito, con la sovraccoperta dannatissima. L’immagine era ancora niente in confronto al risvolto di copertina! Quando l’ha letto per la prima volta è insorta con una decisione che nessuno si aspettava. Marcella è rimasta addirittura allibita. E’ sempre così, con Irene. A ventotto anni ne dimostra dieci di meno: visino tondo, occhioni innocenti, voce sommessa (non è per caso che, al vivaio, quando c’è da ammansire qualche cliente infuriato per un ritardo nelle consegne, Cristina manda sempre avanti lei). Si arrabbia di rado e, quando lo fa, coglie sempre tutti alla sprovvista. E’ stato così quando ha visto il suo romanzo descritto come “un’appassionata storia d’amore sullo sfondo epico dei moti risorgimentali”, e via delirando per trecento cinquanta parole, con i protagonisti descritti in modo da farli sembrare i personaggi di una soap-opera! E dire che se c’è qualcosa che Strada Nuova non è nemmeno lontanamente, è proprio una storia d’amore! Irene ha fatto fuoco e fiamme davanti ad una dapprima sbalordita e ben presto rassegnata Marcella, ripetendo fino alla nausea che quel cumulo di ovvietà non aveva niente a che fare con il suo libro. Per quello a cui è servito, poi, avrebbe potuto risparmiarsi la fatica.
“Intanto, hanno visto che non sei poi così cedevole e accondiscendente, e tanto di guadagnato.” Ha detto sua madre. Sarà, ma il sugo della storia è che la sovraccoperta è andata in macchina esattamente com’era. Ragioni di mercato. La maggior parte della gente non compra volentieri un libro di quattrocento pagine se non pensa che sia una bella storiellona sentimentale. Bisogna invogliarli, i lettori. “E tu, che sei una commerciante, dovresti saperlo.”
A Irene non piace particolarmente il commercio, e non è sicurissima che le piaccia alla follia nemmeno il mondo dell’editoria. Però le piace scrivere, e questo decide la questione una volta per tutte. In fondo, alla Casa Editrice non deve starci otto ore per day.
Comincia a farsi tardi. Arriva Cristina, con le chiavi dell’automobile in mano.
– Nine, io vado. Vieni a casa con i vecchi genitori, tu? -Irene annuisce, stringendosi nelle spalle. Cristina le dà un buffetto da sorella maggiore sulla guancia e va. E’ orgogliosa di questa sorellina scrittrice, ma ha in mente il riscaldamento della serra che non funziona bene e le stelle di Natale in arrivo domani. Fra loro due, Cristina è sempre stata quella coi piedi per terra, quella delle cose serie. Irene no, Irene non si sa mai dove abbia la testa.
In questo momento ce l’ha a Pavia, nel 1848. La gente comincia a sfollare, e gli ultimi ritardatari si affollano attorno al tavolino. Viene anche Marcella, col foulard di seta sopra la giacca e il profumo alla vaniglia e legno di sandalo.
– Allora, ragazza, sei contenta? -interroga col suo accento toscano.- E’ andata bene, sai? E te sei stanca morta. Ma t’abitui, vedrai. Adesso fai due parole con tutti, ma aspetta di averla fatta tre o quattro volte, ‘st’ordalia, e vedi se non mi diventi un nulla più sbrigativa!-
Irene le sorride. Le risponderebbe che si sente già molto più sbrigativa che all’inizio del pomeriggio, ma non è del tutto vero, e poi la signora in pelliccia aspetta non una, ma due dediche su altrettante copie.
– Metta “a Luisa”, per piacere. E su questo, invece, Gianfranco. –
Il mio primo libro, il mio primo libro, il mio primo libro…