Incipit

Tra gli amici di William H. Ainsworth vigeva il tacito accordo di prodigarsi senza risparmio per il suo morale senza mai alludere al suo probabile imminente divorzio. Erano tutti così solleciti, così traboccanti di comprensione, così pazienti che, all’approssimarsi dell’estate, fra la mezza dozzina di programmi che erano stati predisposti per lui con ogni cura, Ainsworth scelse quello che gli avrebbe permesso di non vedere nessuno di loro per almeno tre settimane: un viaggio solitario in Scozia da concludersi con un invito di una settimana a Cromarty House, da qualche parte oltre Inverness.

– La peggiore idea che potesse venirvi! -aveva commentato bruscamente il suo amico John Forster. E il buffo era che era stato proprio Forster ad ottenere l’invito, non senza vari tortuosissimi scambi di lettere tra parenti, amici di parenti e parenti di amici. Ma a Forster piaceva mostrarsi insoddisfatto e, senza badare a lui, ai primi di giugno del 1836 William Ainsworth partì con poco bagaglio e senz’altri libri che l’Exkybalauron di Sir Thomas Urquhart e il manoscritto del suo nuovo romanzo.

Il tempo era benevolo, le corriere e le locande più decenti del temuto e il paesaggio meraviglioso, e fino a Edimburgo tutto andò magnificamente. William si sentiva in vacanza, e tanto il pensiero di Fanny quanto quello del manoscritto incompiuto tacevano in qualche angolo della sua mente.

Nell’istante in cui giunse a Eliock, questo gradevole stato di cose svanì in un baleno. Ainsworth accolse la novità con stupore, e anche con risentimento, perché era proprio a Eliock che era nato il suo protagonista, e da lì cominciava il viaggio vero e proprio. Era per arrivare lì che aveva viaggiato per tutte quelle miglia, e quindi non capiva proprio perché, mentre il ragazzo di fatica dello Eliock Arms scaricava dalla vettura di posta le sue valigie e lo scrittoio portatile, dovesse sentirsi tanto avvilito.

Dopo pranzo trascorse un infelicissimo pomeriggio vagando per il villaggio. Eliock non aveva proprio nulla che non andasse, e William poté visitare Eliock House, vedere la stanza in cui si pretendeva che fosse nato Crichton e ammirare il paesaggio a sazietà. Da Londra gli era parso che sarebbe stato magnifico aggirarsi per quei posti e provare come suonassero i dialoghi del romanzo in mezzo alle montagne, alle torrette, ai cortili… E invece fu grato di poter riparare alla locanda per il tè, e poi si ritirò prestissimo nella sua stanza. Per la prima volta da quando aveva lasciato Londra, prese dalla scatola nello scrittoio da viaggio il pacco di fogli legato con un nastro di seta marrone, trascinò una poltrona vicino alla finestra e cominciò a leggere, alla luce del lungo tramonto scozzese. Fu solo quando la servetta entrò con il lume che William Ainsworth alzò gli occhi dal manoscritto e lo mise da parte con un sospiro infelice. Infelice e alquanto irritato, perché aveva riletto più di metà di quel che c’era della storia di James Crichton, ed era inutile negare l’evidenza: non andava.

Una buona chiacchierata, l’indomani, con il pastore di Eliock, che era uno storico dilettante, e un pomeriggio di consultazione dei vecchi registri parrocchiali non rivelarono nulla che cozzasse in modo troppo grossolano con i fatti raccontati nel manoscritto, ma questo non valse a migliorare l’umore di Ainsworth.

In capo a due giorni ne aveva più che abbastanza di quel posto e, mentre chiudeva le valigie, ebbe la tentazione di riprendere la via di Londra. Ma c’era il signor Ross che lo aspettava a Cromarty House, e c’erano lo scuoter di testa e lo stringere di labbra e i malcelati sospiri con cui gli amici lo avrebbero accolto se fosse tornato a casa prima del previsto, e poi c’era pur sempre la vaga speranza che seguire le orme del ragazzino prodigioso servisse davvero a qualcosa, e così William Ainsworth proseguì verso nord. Da Perth scrisse a Forster e a Lady Holland, e ad entrambi mentì con entusiasmo sull’accuratezza descrittiva, per non parlare dell’adesione sentimentale, che gli avrebbe fruttato la conoscenza dello scenario degli anni di scuola del piccolo Crichton; da St.Andrews inflisse a Charles Dickens un’epistola di sei pagine, piena delle meraviglie che l’archivista del St.Salvator College gli aveva mostrato sul celebre studente laureato a quattordici anni. E poi, siccome era arrivato dove doveva senza trarne nemmeno la più pallida ombra di beneficio o di diletto, prese la via di Inverness riflettendo amaramente su come James Crichton gli fosse parso perfetto, a suo tempo, per il ruolo di eroe di un romanzo storico.

E perfetto gli sembrava ancora, durante il viaggio per Cromarty, mentre il battello per l’Isola Nera scivolava sulle acque luccicanti del Fiordo di Moray e le ombre delle nuvole si rincorrevano sui fianchi delle colline. Perché questo giovane di vent’anni, nobile, bellissimo, erudito, pieno di fascino e di virtù, poeta, soldato e cortigiano, che viaggiava per tutta l’Europa, parlava tutte le lingue, dappertutto vinceva l’ammirazione e l’affetto degli uomini e l’amore delle donne e poi moriva in quel modo tragico e misterioso, per che cos’era fatto se non per le pagine di un romanzo? E con tutto questo, e con il vantaggio di essere il famoso autore del famosissimo Rookwood, il romanzo non veniva affatto bene!…

Quando il battello attraccò a Cromarty, Ainsworth aveva una faccia talmente lugubre che, dopo averlo individuato e salutato, il signor Alexander Ross diagnosticò privatamente mal di mare durante la traversata. Avrebbe riso se avesse saputo che ai rovelli per Crichton si era appena aggiunto il sospetto che una selezionata folla di lettrici di romanzi e cacciatori di autografi attendesse in imboscata dentro i cancelli di Cromarty House.

Già durante il tragitto in calesse il signor Ross si rivelò un gentiluomo cortese e quieto. Si era mostrato ben felice di ospitare l’autore di Rookwood, ma nulla nelle sue maniere denunciava l’esultanza di qualcuno che avesse appena catturato un Romanziere Celebre per esibirlo a legioni di ospiti e vicini. William tuttavia diffidava, e sedeva a fianco del suo ospite tra rigido e impacciato, ben consapevole di apparire antipatico quando era a disagio.

Se è solo ospitale e gentile, rimuginava tra sé, gettando occhiate oblique allo Scozzese, penserà che mi sto comportando in modo vergognoso. E se invece ha intenzione di fare sfoggio di me con i suoi amici, gli parrà che non valga la spesa…

Era a questo punto delle sue tetre considerazioni quando giunsero in vista di Cromarty House.

– Eccoci qui. -disse il signor Ross, indicando col frustino, e quando si voltò ad osservare la reazione del suo ospite gli parve di vederlo deluso. In realtà William era sorpreso. Benché John Forster gli avesse parlato di una villa georgiana, la facciata di mattoni rossi, le tegole di ardesia e il giardino all’italiana contrastavano con il castello degli Urquhart che la sua immaginazione si era ostinata a dipingergli.

– Vedrete, -rise Alexander Ross al suo fianco- Abbiamo tutta una collezione di incisioni e stampe che mostrano il castello com’era ai tempi di Sir Thomas, e prima di lui e dopo… –

Ainsworth arrossì, vedendosi colto in un pensiero che, a giudicare dall’ombra di divertita rassegnazione nella voce del padrone di casa, doveva essere comune agli ospiti di Cromarty House, e si costrinse a sorridere.

Dopo tutto, Cromarty House si rivelò molto più accogliente e luminosa di qualsiasi castello, e priva di folle chiassose. Oltre al signor Ross c’erano soltanto una sua sorella vedova e una sorta di segretario, un parente povero con un passato di insegnante e di membro della milizia locale, gentili persone di mezza età piene di tatto. Tutti e tre avevano letto Rookwood ma non dissero nulla di iperbolico in proposito e, se era fin troppo probabile che John Forster li avesse avvertiti con delicatezza della faccenda di Fanny, ebbero la discrezione di apparire ignari. William apprezzò molto che non avessero invitato nessuno a cena la sera del suo arrivo e, dopo qualche diffidenza iniziale, si convinse che l’espressione semimaterna della signora Munro poteva benissimo attribuirsi al naturale interesse di una signora in età per un giovane romanziere di bell’aspetto e notevole fama capitato sotto il suo tetto. Quel che è certo è che nessuno parlò di divorzi né di autografi e, al momento del Porto, William era ormai rassicurato a sufficienza: di sicuro i suoi ospiti erano il terzetto meno morboso delle isole britanniche.

Al momento di separarsi per la notte, tanto presto quanto si conveniva ad un viaggiatore appena giunto da lontano, George Ross non si trattenne dal condurlo in biblioteca.

– Per tutto il resto ci sarà tempo nei prossimi giorni. -spiegò, con l’aria di chi anticipa un premio promesso a un bambino- Ma forse vi farà piacere conoscere subito il nostro Sir Thomas. –

E alzò la lampada che reggeva, illuminando il viso rotondo, olivastro e arrogante di un gentiluomo secentesco.

– Mi piace pensare, sapete… -mormorò George Ross- Anche io come lui, la spada e la penna, vero?… -E rise, in compiaciuto imbarazzo, sgranando gli occhi tondi.

Ainsworth sorrise di rimando, divertito suo malgrado, perché non si sarebbe potuto immaginare un contrasto maggiore fra il rubicondo maestro a riposo e il cavaliere dai mustacchi feroci e dalla posa insolente.

Una volta nella sua stanza parata di color crema e verde salvia, William trascorse un paio d’ore non troppo felici scorrendo avanti e indietro le pagine dell’Exkybalauron, esercizio che gli lasciò un vago astio nei confronti dell’idolo di George Ross. Con tutta la sua vanagloria, la sua pedanteria e i suoi terrificanti eptasillabi, Sir Thomas era riuscito a fare assai meglio di lui, e il suo giovane Crichton era vivo.

Quella notte, nonostante la quiete del parco e l’eccellenza del letto, William Ainsworth dormì male, sognando a lungo Fanny intenta a ballare con un gentiluomo in parrucca a riccioli e occhi neri come il carbone.

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